Ingresso: Gratuito
Salone degli Incanti (Trieste)
Non leggete i depliant o i cartelloni che vogliono spiegarvi come guardare ed interpretare l'opera dell'artista. Bisogna lasciarsi portare da essa e dal sentimento che sveglia in noi, perciò e contro la mia scrittura, vi consiglio prima di andare a vedere i quadri e poi caso mai di leggere quanto segue.
[...]
La mostra (tranne due opere) si concentra nello studio del interno, dell'esterno e dei particolari di un palazzo fatto tutto in cemento, che fino alla fine non si capisce dove sia, ma che sembra di galleggiare in una città che potrebbe essere Venezia, o forse dopo lo scioglimento dei ghiacciai, il mondo intero.
Come con tutte o quasi tutte le mostre che sono state finora fatte nella ex pescheria, ho avuto un senso di vuoto, come se non ci fosse verso di riempire quello spazio se non con la quotidianità dei pesci e del mercato coperto, ma poi, sopraffatta si quella sensazione, ho avuto l'impressione di guardare un paesaggio tra la vita e la morte, sempre lo stesso, il paesaggio di una casa di cemento, di una contemporaneità apocalittica dove chi abita dentro solo può aprire o chiudere la porta d'ingresso grazie al mitico traghettatore, e dove le scale e le fughe sono ovunque, anche nelle finestre, e portano e si perdono chissà dove.
Serse lavora col bianco e col nero, colle luci e le tenebre, le ombre, per cui, alla sensazione di che quella casa non c'era non poteva abitarci nessuno, si aggiunse la necessità imperiosa di trovare un elemento che rappresentassi la vita. L'ho cercato quadro dopo quadro, come se avessi la necessità di una conferma. All'inizio l'ho trovato nell'acqua e nella luce, e alla fine, in uno degli ultimi quadri esposti la vita era paradossalmente nel riflesso di due cipressi. Mi sono emozionata: ero in un cimitero.
[Prima d'uscire, ho letto il depliant. Quel palazzo, quell'unico palazzo di tutti i quadri, era una mausoleo realizzato da Carlo Scarpa, il progettista del Museo Revoltella.]
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