Passa ai contenuti principali

I sotterranei dei gesuiti / Santa Maria Maggiore


Per visitare i principali sotterranei di Trieste non basta con recarsi nel posto e pagare il biglietto di ingresso. Forse per mancanza di personale, di visitatori o di soldi, oppure per rendere il tutto più misterioso, ci vuole qualcosa in più: una telefonata alla persona giusta chi vi chiederà il vostro nome come se fosse la parola d'ordine che fa spalancare le porte non del Paradiso ma sì di quel mondo sottoterra. Così succede in parte con la Klein Berlin, così anche per i sotterranei sotto Santa Maria Maggiore, la chiesa barocca di Trieste che si trova vicino al Teatro Romano, sopra la Scalinata delle Medaglie d'Oro aperta nel XX secolo.
Per visitare i sotterranei di questa chiesa prima bisogna telefonare, parlare col parrocco o con qualche suo accolito, i quali a sua volta vi passeranno il cellulare di uno degli speleologi che hanno reso possibile tutto questo. Nel mio caso, ho parlato con l'appassionato speleologo ultra ottantenne Armando Halupca, autore di diversi libri su Trieste, sulla Trieste nascosta con le sue cavità naturali e artificiali.
Il ritrovo è sabato alle dieci del mattino. Il gruppo di una quindicina di persone si trova sull'ingresso laterale della chiesa di Santa Maria Maggiore, di fronte a quella altra appartenente a un ceppo di protestanti, quello della Chiesa Elvetica-Valdese, che dopo la dichiarazione di libertà di culto fatta dall'imperatrice Maria Teresa nel 1781, comprarono la chiesa di San Silvestro per rimanere lì fino ai giorni d'oggi, dove il signore che fa da guida ci fa segno d'entrare ma Armando ci ammonisce: "se entrate lì non venite più fuori". 

Preferiamo rimanere con lui. L'età media del nostro gruppo sarà di settanta anni ma comunque quasi tutti sono triestini allegri e scherzosi. Per dire: c'è un uomo vestito da cowboy e una signora che a certo punto e non ricordo bene perché dice che lei starà attenta a non inciampare e perdere la dentiera. Sembriamo in una gita scolare di fin di corso. Ognuno di noi ha qualcosa da dire; uno di loro gioca perfino con la pila mentre entriamo nell'anticamera dei sotterranei. A destra c'è la porta verso il percorso sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore (prima dei gesuiti, poi dei francescani e ora del clero diocesano); dritto, c'è uno spazio dietro a un muro anti-schegge dove una volta ci fu un rifugio antiaereo, e poi, sorpassando un muro oggi aperto, ci sono i sotterranei del Collegio dei Gesuiti, usati come carcere durante l'Impero austro-ungarico e anche dopo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. In una di quelle celle venne rinchiuso Guglielmo Oberdan, l'irredentista italiano impiccato nel 1882.

E voi chiederete: "Ok, ma cosa c'è da vedere? Le celle sono ovunque celle; i sotterranei son pur sempre gli stessi cunicoli oscuri e umidi con nicchie", e anche se qui c'è qualche novità macabra -come gatti mummificati, pipistrelli appesi, la cripta de una famiglia seppellita in chiesa, un pozzo pressoché curioso per il suo susseguirsi di forme rotonde, quadrate e ottagonali come se stessero a significare qualcosa, e poi ancora delle camere dai nomi particolari che sembrano uscite da un film horror di clase B- anche se qui c'è tutto questo comunque è vero che i sotterranei sono quasi sempre uguali. Basta vedere uno per credere di aver visto tutti. Ma si sbaglia nel pensare così, nel porre la domanda "che c'è da vedere?" quando sarebbe più corretto dire "che c'è da immaginare?". Immaginare come in Grecia, come in quei posti dove non è rimasto nessun segno di quello che ci raccontano.
Infatti, come tanti altri posti, questo luogo colpisce non per quello che c'è ma per quello che si intravede e si riesce a immaginare attraverso le storie e i racconti e le dicerie così fertile sottoterra. Certe storie della Storia, come quella dei sotterranei, così lo vuole.

Allora bisogna prima dire che a Trieste circola la credenza che tutta la Cittavecchia sia piena di passaggi sotterranei che avrebbero permesso ai carcerati di Santa Maria Maggiore (SMM) di fuggire; ai massoni, di comunicarsi di nascosto fra di loro tra il Palazzo chiamato Rotonda Pancera, la chiesa di SMM, il castello, Cavana e pure il porto. Dicono anche che qua sotto l'Inquisizione facesse processi per non essere visti né disturbati né sentiti, che nella Seconda Guerra Mondiale una famiglia di ebrei si fosse rifugiata qui sopra, nella Torre del Silenzio, e ora, che stiamo visitando le celle del Collegio, una delle signore del gruppo tira in ballo le Foibe. La signora dice che qui, nelle celle di questi sotterranei furono nascosti quelli che dopo il 1 maggio del 45', sotto il governo Jugoslavo di Tito durato 40 giorni, sarebbero stati ammazzati e gettati nelle Foibe (fosse comuni negli abissi del Carso), ma che nessun ne parla poiché per parlarne bisogna che passi un'altra generazione. Ed è vero che non se ne parla tanto, ma è anche vero che le ricerche di Claudia Cernigoi parlano di 18 persone uscite dal carcere dei Gesuiti e fucilati nella Foiba Plutone, non di più, non di meno.

Il punto è che sotto terra ci sono tante storie ma Armando vuole smistare la Storia dalla leggenda. Lavora per trovare la verità, la cerca nelle cavità, nascosta, e tuttavia non può fare a meno di parlare delle dicerie, per esempio, della leggenda alimentata anche dal conosciuto collezionista Henriquez (d'origine portoghese), uno dei primi appassionati a fare una ricerca qui sotto, in campo, morto senz'altro in circostanze strambe (bruciato assieme al suo archivio) anche se allora si disse che si fosse suicidato. Non può non nominare il celebre collezionista Hernandez, importante anche per il fumettista di Martin Mystere che fecce un numero dedicato a questi sotterranei, e nemmeno può tralasciare le leggende, nominare quelli che le hanno alimentate, non appendere il fumetto e gli articoli più gotici e romantici di Il Piccolo in bacheca, così come ha dovuto anche mettere in una scatola di acrilico il gatto trovato lì mummificato. Deve fare così poiché il gotico e l'horror è l'ambiente giusto per un sotterraneo, no c'è verso; così fu per gli scrittori Walpole e Poe, e così è per Armando, uno scienziato che per la sua formazione, non può ammettere altro che non sia quello che le prove dimostrano e i suoi occhi vedono, pero che comunque non può fare a meno di parlarne e discutere con quella tradizione che circola come un passa parola. Così, quando vuole dimostrare la falsità delle dicerie Armando non fa altro che alimentare il mistero. Perché se così non fosse, allora cosa fa un teschio nella Camera Rossa dove la leggenda vuole che venissero perpetrati i processi inquisitoriali? Vuole ricordare la fotografia delle ossa che si disse fu scattata in quella camera e che venne pubblicata sul Piccolo, o invece vuole ricordare la toga rossa che usavano gli inquisitori e che secondo lui diede il nome alla stessa Camera?

Il depliant e tanti siti Web dicono che col rapporto degli Speleologi il mistero sia stato ridimensionato; io invece penso che sia stato riesumato e che è giusto che così sia. Se è vero che Armando non può affermare quello che non ha visto, è anche vero che si interessa di tutto questo per gli stessi motivi che lo facciamo noi: perché lì sotto c'è un'ombra, un fantasma, un senso che ci sfugge e che vorremmo acchiappare, se non altro, creando storie. Di quelle che Armando ci racconta, due o tre mi hanno preso. La prima è la storia dell'acqua del pozzo delle Anime -guarda caso, penso, sotto la cappella della Madonna della Salute che avrebbe salvato Trieste dalla peste del collera-; questa acqua sarebbe così pura da non far marcire i fiori e far crescere certi gamberi che pullulano ciechi nei posti dove non ci sono radiazioni. Certi la chiamerebbero benedetta ma Armando se non ho capito male la chiama una vena d'acqua, purissima, come quella della Madonna di Lourdes, a qualche km. di Trieste, in Lipica, Slovenia, dove ci sono le stalle dei cavalli viennesi, quelli che si impennano e camminano sulle gambe di dietro, collo stile della scuola spagnola.
Quella è una storia. Poi, la seconda vuole che in una stanza sporca della Torre una famiglia di ebrei si sia rifugiata lì, ed è inquietante, ma qualcosa nell'aria fa sentire la loro presenza, o meglio, la loro assenza. Infatti nel gruppo qualcuno parla del Diario di Anna Frank.
La terza storia è quella della torre e mi fa sorridere ancora di fronte a quella capacità tutta triestina di saper dare un soprannome alle cose. Ci penso quando Armando, prima d'entrare dice, "mi raccomando, ste ziti". Ci chiede di stare zitti perché il parroco chiede a lui sempre così, è tradizione; in chiesa si sente tutto quello che si dice nella Torre appunto del Silenzio. E ora che ci ripenso, mi chiedo come avrà fatto per sopravvivere la famiglia che si era rifugiata là sopra? Armando potrebbe trovare una risposta, così come se ci andate potrà anche raccontarvi tante altre storie, come quella dei piccioni coi messaggi cifrati che venivano allevati lì dietro, nella Via delle Colombe, e partivano dalla Torre per andare lontano; perfino a Parigi potevano arrivare.
- Ma come sapevano -chiedo- dove dovevano andare? -E Armando risponde che probabilmente le colombe erano state allevate qui ma anche nella loro destinazione.

Sorrido poiché non ci avevo pensato, ma qualche minuto dopo i piccioni e quel ambiente torneranno ad essere per me un mistero.


P.S: Una curiosità: su internet, nel sito di Santa Maria Maggiore, si parla della esistenza della Foresteria, una specie di pensione per soggiorni lunghi e per "turisti religiosi" a buon mercato.

Commenti

Post popolari in questo blog

Scale I- datemi una scala e scavalcherò i colli

Non si pol, dicono i triestini. È il nostrano luogo comune e ne siamo consapevoli. Non si pol fare questo, non si pol fare questo altro, non si pol. A volte è scoraggiante, altre invece suona a tromba, a richiamo: una vera sfida. Oggi ho sentito la tromba e mi sono detta: non si pol nemmeno rimanere a livello del mare, sempre a prendere il sole. Bisognerà pur fare la faticaccia, salire e una volta sù, bisognerà quindi scendere. Scendere e salire alla fine sono quasi un unico movimento. Passiamo la vita a salire e scendere scale, strade, piccoli gradini; a casa io devo farne ventuno in sù ventuno in giù, ogni giorno, almeno per portare fuori la spazzatura. (Il bello è che a volte, come in montagna, a volte è più gradevole e meno faticoso salire un'erta piuttosto che scenderla. Un esempio a Trieste è la strada dei pescatori che Sissi -dicono- amasse fare.) E quindi, siccome non si può rimanere sempre al mare la stramaggioranza dei triestini si sposterà in macchina, prenderà l&

Strada dei Pescatori, ovvero Sissi e i pescatori

Il sentiero si può fare in su o in giù, e qualunque sia la scelta, c'è da dire che non è faticoso. Nel secondo caso si arriva colla 42 a Contovello, oppure (se si ha a disposizione 5 ore), si va in tram fino all'obelisco di Opicina, si fa la strada Napoleonica, e poi si arriva a Prosecco e da lì al laghetto di Contovello, dove inizia il percorso in giù.    La strada dei pescatori (CAi n. 9) collega Contovello col porticello di Grignano. La leggenda vuole che questa strada fosse la preferita dell'imperatrrice Sissi, che per percorrerla la faceva prima in su, dal castello di Miramare, passando per il Parco e l'omonima Stazione, tutto in su, fin dove ce la facesse. Per fare come Sissi, bisognarebbe prendere la 36, scendere dopo la seconda galleria, soprastante il castello, e salire per la scalinata in pietra accanto alla fermata fino ad arrivare al portone del Castello su Via Beirut. Ma ancora meglio se si entra in castello, si fa un bel giro nel Parco, è si esce dalla por