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La piccola Berlino sottoterra



Maurizio, del club alpinistico triestino, ci fa da Cicerone nella Kleine Berlin, la piccola Berlino di Trieste. Maurizio parla in triestino, passa i giorni a scrivere ed è un'enciclopedia in tutto ciò che ha che vedere colle due grandi guerre. 
Guardo su internet come fare per visitare il ricovero antiaereo chiamato Kleine Berlin e trovo il suo numero. Telefono subito. Maurizio mi informa che le visite si fanno una volta al mese, l'ultimo venerdì, cioè, il giorno dopo. Mi avverte di venire munita con una torcia, l'ingresso è in via Fabio Severo, devo indossare i vestiti adatti per entrare in una galleria umida e in certi punti allagata, loro saranno puntuali, si inizia alle 19.30, la visita dura un'ora e mezza e per farla ci vuole un minimo di venti persone. "In quanti sarete?"

Sono andata da sola. Avevo dimenticato il numero civico.  Sul marciapiede c'era una bambina senza i suoi genitori. Ho pensato di chiedere lei ma poi   ho attraversato la strada ed ho chiesto nella stazione di servizio. L'impiegata mi ha detto che la manifestazione era duecento metri più in là. Non so a quale manifestazione si riferisse ma sembrava stanca, allora ho lasciato perdere. Comunque sono andata in quella direzione e qualche metro dopo ho visto un gruppo di bambini colle torce in mano. Ero di fronte al civico di via Fabio Severo 11 dove prima c'era la bambina.

Maurizio era sulla porta. Parlava con una signora slava e una latinoamericana, madri di due di quei bambini. Parlavano sul fatto che il Veneto fosse protetto dalla base degli americani; se ci fosse stato un attacco, Trieste sarebbe stata troppo sposta. I bambini continuavano a giocare colle torce. Sull'ingresso della galleria c'era di tutto: un telefono vecchio come  il cucco, maschere antigas, libri scritti da Maurizio, una scopa, fotografie e piani piegati dall'umidità, sedie, panche, manichini: di tutto. 
Eravamo in quella che una volta era stata la quarta porta. Di ricoveri antiaeri rimangono tanti a Trieste, anche se più piccoli e per civili. Ogni palazzo doveva avere uno, per legge. È facile riconoscerli per strada. Sono indicati sui muri dei palazzi attraverso la scritta (US) dentro un cerchio da dove parte una freccia che punta verso la "Uscita di Sicurezza", che i triestini hanno soprannominato la "Ultima Speranza", con quel tocco di ironia che tanto gli caratterizza. 

L'ingresso in questa ultima speranza chiamata Kleine Berlin era riservato ai soldati tedeschi.  Oggi questo ricovero si collega col rifugio per i Dcivili ma è facile distinguerli grazie alle mura

Le mure tedesche hanno l'intonaco. Invece le altre, costruite dagli italiani un po' prima, sono grezze. In questa parte, dopo la Seconda Guerra, una cantina affittava lo spazio al comune. Oggi, circa cinquanta anni dopo, rimangono ancora delle bottiglie verdi di Chianti, due damigiane grosse, e certamente vuote, vetri ovunque. 
Maurizio dice che bisogna fare attenzione, camminare in mezzo alla galleria. Le mamme terranno d'occhio i loro figli. Ii bambini urlano contenti.

Questa è Trieste. Spartana e melanconica città sul confine che si è spostato più di una volta e ha fatto sì che i cittadini cambiassero nazionalità. Oggi italiana, ma una volta austriaca e anche di Tito per 40 giorni. 
Nel periodo della Klein Berlin, Trieste diventò tedesca. Era il mese di settembre 1943, dopo la caduta di Mussolini, quando nacque la Zona d'Operazione del Litorale Adriatico (Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, e l'autonoma Lubiana). Trieste fu capoluogo della zona. La sede del governo era nel palazzo dell'attuale Tribunale, collegato colle gallerie del ricovero antiaereo e queste, a sua volta, con la casa del capo della SS, il generale triestino Odilo Globocnik. Lo stesso Globocnik che fece della Risiera di San Sabba un campo di sterminio, lo stesso che pochi anni prima aveva fatto costruire ben tre campi di concentramento in Polonia. 
Tornato a Trieste col carico di capo della SS, Globocnik confiscò la casa a Angelo Ara, 
(ebreo, e all'epoca, direttore dell'assicurazione Generali) e si piazzò dentro, proprio lì sopra le gallerie, attaccato al Tribunale. In caso di bombardamento il generale si era fatto costruire un ingresso che attraverso una scala a chiocciola portava giù nelle ricovero, in una delle stanze che comunicano col complesso delle gallerie a spina di pesce. Oggi quella casa no c'è più. Maurizio dice che la scala fu bruciata subito dopo la fine della guerra dagli stessi soldati in fuga, che quella che adesso vediamo è stata ricostruita in ferro da loro, il gruppo alpinistico. I bambini puntano le torce verso l'alto, dove sbucava la scala e dove oggi c'è un orifizio murato.
Maurizio sostiene che Globocnik aveva concesso la costruzione delle gallerie a tre ditte diverse, così nessuno sarebbe venuto a sapere del passaggio segreto che aveva nel giardino di casa sua (o meglio, di casa di Angelo Ara). Sostiene che gli operai delle tre ditte appartenevano alla Todt (gruppo creata dal Reich per gestire le costruzioni e la mano d'opera) e che per i loro lavoro venivano remunerati. Può darsi che a Trieste fossero tutti pagati e lavorassero senza essere costretti a farlo, ma si sa che certi operai della Todt erano prigionieri di guerra e che lavorare per loro non sempre era una libera scelta.

Maurizio dice che a Trieste ci furono diversi bombardamenti anche se i morti per fortuna furono pochi. Per fortuna e perché a Trieste ce n'erano delle gallerie (come la galleria della Scala dei Giganti) dove passavano i tram e dove si poteva trovare riparo. Furono circa 700 i morti, almeno quelli di cui si ha notizia. Ma la mostra mette il dito nella piaga. Fa vedere che all'epoca i giornali erano sotto censura. La notizia ufficiale dice che Globocnik morì dopo aver presso una capsula di cianuro, ma Maurizio dubita, ci sono altre voci che lo credevano in vita fino a poco tempo fa e proprio grazie all'aiuto della CIA.
Maurizio sostiene che Norimberga fu quel che fu. Non lo dice ma immagino pensa che fu una beffa. 
Di quel periodo Trieste conserva delle ferite ancora aperte. Basta guardare il porto vecchio -zona franca tuttora chiusa per problemi giurisdizionali- per capire quanto ancora la città è divisa; quanta fatica si fa a trovare un accordo e andare avanti. Sono queste ferite che fanno sì che Trieste si dibatta tra l'essere moderna e il non-essere, tra l’andare avanti e il non dimenticare. La Kleine Berlin, queste gallerie che sono rimaste quasi uguali a una volta, mostrano bene questo carattere triestino che vuole farsi vedere senza trucchi, ma che piano piano inizia a pitturare il centro storico e fa un parcheggio accanto al teatro Romano, lì dove prima c'era una "US", l'ultima speranza per quelli che lavoravano in comune. 






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