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Passato Prossimo: Bagno Alla Lanterna (più noto come il Pedocin)




Vicino al vecchio faro, da Piazza Unità guardando verso il mare a sinistra, c'è lo stabilimento balneare "Alla Lanterna". Dicono che sia unico in Europa nel suo genere, cioè, in un punto del suo regolamento che fa sì che il bagno sia ancor oggi diviso in due settori: quello per gli uomini e quello per le donne. Unico in Europa per il fatto della divisione e anche perché i cittadini lo vogliono così. Infatti, i triestini ne sono fieri.

Il bagno si chiama "alla Lanterna" ma tutti lo chiamano il Pedocin, che in dialetto vuol dire cozza. Il soprannome risale ai primi periodi e fa riferimento al fatto che di solito non c'è un fazzoletto di terra dove sdraiarsi e la spiaggia sembra zeppa di cozze piuttosto che di persone. 

Adesso siamo a fine settembre. Ormai la stagione sta per finire ma il sole d'improvviso è tornato. Siccome nella guida di Trieste, città cha ama il mare e l'abbronzatura, non può mancare il Pedocin, approfitto per venire prima che l'inverno finisca.

Appena arrivo tutto diventa color calce. Quello che non ha quel colore risalta, brucia; così il bar col tetto rosso nell'ingresso. È qui, ma anche nel mare, dove uomini e donne possono ritrovarsi anche se di donne  se ne vedono poche qui fuori. Invece gli uomini abbondano; chiacchierano sul bancone mentre prendono una birretta; stanno attenti a chi arriva.
Oggi c'è un gruppo con una maglietta e una scritta sopra. "Saranno lavoratori nella pausa pranzo delle tre pomeriggio?", penso e li sento scherzare. Dicono di essere preoccupati colle fotografie che faccio ma fanno di tutto per entrare nell'inquadratura. "Mi mancherebbe solo di essere in prima pagina domani sul Piccolo!" -cioè oggi nel quotidiano di Trieste, dice uno e gli altri ridono. 

Nell'ingresso tutto assomiglia ad un autobus: il biglietto costa un euro, bisogna timbrare in una macchinetta gialla, c'è la fila; l'unica differenza è che l'ingresso dura fino alla chiusura. 
Guardo i cartelloni. "Entrare adagio", dice quello in mezzo tra le due porte d'ingresso, come si i frequentatori spingessero e si pestassero per entrare il prima possibile. Invece sulla porta di destra c'è la scritta "uomini", sopra quella di sinistra, "donne e bambini". Vado a sinistra. Il primo impatto è la quantità di donne, le loro voci. Certe giocano a carte, altre leggono, altre fanno il cruciverba.

La spiaggia è di sassolini. A Trieste, o sono di sassolini, o sono una piattaforma di cemento, oppure hanno le rocce.
Dentro c'è il bar e subito dopo una galleria lunga quanto il bagno. Lì c'è lo spogliatoio con gli appendiabiti e tre specchi. Alla fine c'è il deposito delle sedie sdraio per le frequentatrici che di sicuro hanno l'abbonamento.
Come in tanti stabilimenti i colori del Pedocin, bianco e azzurro, fanno sentire l'aria del passato, anche se l'ultima mano di pittura è stata fatta solo un anno fa. Sento di essere entrata in un passato che sembra remoto anche se non lo è tanto, dal momento che continua ad avere lo stesso uso di una volta ed è pieno di gente. In questo senso è un passato tutto triestino, simile a quello dell'italiano del Nord: è un Passato Prossimo anche se risale soprattutto all'inizio del ventesimo secolo, alla Trieste austroungarica che aveva la tradizione dei bagni divisi per sesso.

Giuro di non aver mai visto tante donne senza uomini, tanti corpi nudi. Poche si erano messe il reggiseno e quella nudità era una fratellanza. Mi sono sdraiata sul telo. Ho sentito le loro voci. Certe sembravano di conoscersi da tanto tempo. Due signore facevano avanti indietro sulla riva. Se la raccontavano. A destra, alla fine del muro di tre metri che divide il settore maschile da quello femminile (lo divide e poi scende in mare e diventa ringhiera e poi corda) c'erano due uomini a fare il bagno. Non erano i loro mariti, si capiva. Si erano avvicinati forse per sbirciare da questa parte del muro. Dalla loro parte erano sempre in pochi, così come nel bar fuori ce n'erano pochissime donne.

Accanto a me ho sentito una bambina correre.
Mi sono addormentata coi passi sui sassolini, il motore di una nave ed un gabbiano che gracchiava.



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