Da qualche settimana pare che gli italiani si siano destati dopo un colpo in testa, tutto ad un tratto ricordandosi di avere pur loro una costituzione nazionale da far valere e tirar fuori per rivendicare l'importanza della cultura nella graduatoria degli interessi politici, il cui unico interesse sembra essere la potatura, tagliare, ovunque tagliare. Anche il "maestro Scaligero", Daniel Barenboim nella prima alla Scala de Milano, ha dato voce a tutti i teatri malmessi e ha recitato l'art. 9 secondo il quale "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. //Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione."
Anche Andrea Camileri in un testo per la trasmissione Vieni via con me ha elencato quello che potrebbe essere inteso come cultura e includeva dall'aratro alla forchetta (come dice il tango, dalla Bibbia al termosifone), ed era un bel elenco della cultura natta dall'agricoltura, da quei due buoi che trascinano e fanno un solco d'inchiostro sulla pagina bianca, un bel elenco, ma senza tante metafore io vorrei che qualcuno dicesse cosa intende per cultura? Il mercato del pesce trasformato in Museo quasi vuoto ed impossibile di riempire, è cultura? La biblioteca che fino all'altro ieri non aveva un collegamento internet gratuito, è cultura? La città che oggi giorno non ha internet aperto per tutti, è cultura? Le sagre sono cultura? Le fiere del maiale e del vino e del Natale e della lavanda sono cultura?
In un Paese dove da un bel po' ci sono serie difficoltà ad affrontare la realtà, la realtà dell'inetta dirigenza politica, e come se questo problema non bastasse ed i parlamentari stessero a giocare a palla bruciata senza finire di mettersi d'accordo per dare la sfiducia al Premier, in questo bel Paese, ora più che mai si sente paura alla morsa di freddo della crisi mondiale e lo scoraggiante contesto internazionale; ora più che mai bisogna capire dove andare, dove scendere, dove spendere e dove risparmiare...
La cultura forse sta per morire, ma non nei castelli o negli scavi, bensì in noi, i veri portatori di cultura, le vere bombe di parole, di suoni, i veri armamenti. Dobbiamo svegliarci. Non è possibile che a Trieste (una città che a volte si vuole Mitteleuropea e a volte no sa cosa vuole), i musicisti da qualche mese in qua non possono suonare per strada se non vogliono essere multati. Ora, se questo non è un taglio, peggio un divieto alla cultura, quella meno protetta, quella senza risorse, io non so più cosa è la cultura.
Il giorno che essa (qualunque cosa sia) sia intesa non come natura morta ma come un bene dentro a noi, un attrezzo ma poco tangibile così come la musica e il linguaggio, senza il quale non si può fare a meno (non che si muoia-infatti si può vivere senza leggere- ma nel senso che senza si vive forse più tristi), allora quel giorno si capirà magari che cosa è cultura, che cosa dobbiamo rispettare, che fuoco tener vivo... che fuoco tener vivo quando mancano i custodi? Le biblioteche, i musei, il patrimonio storico e artistico sotto e sopra terra, la musica sotto la doccia, la musica in piazza, i libri, le rovine, le chiese, i castelli, il cinema, la Web, le mura della città, la poesia in città, le città, il Paese, il mestiere dello spazzacamino, Pulcinella, il cammino, la lingua, il sorriso, l'ironia...Cosa?
Dove inizia e dove finisce la cultura?, mi chiedo, e penso agli uomini che arrivano in questo continente senza un lavoro, un tetto, qualcosa da mangiare, giorno dopo giorno. Oggi di sicuro si è imbarcato qualcuno. Ma l'Europa non vuole perdere colpi, non vuole abbassare il suo stile e la sua qualità di vita. Quelli uomini possono essere rinchiusi, morire in un centro di permanenza o possono vivere. Noi possiamo andare avanti per strada senza fermarci quando ci chiedono un soldo, possiamo chiedere un visto e diminuire il turismo, ma qualunque sia la decisione, ciò che importa è fermarsi, capire cosa è Cultura, cosa è barbarie, e poi decidere quello che vogliamo fare e come lo faremo.
Ma prima meglio se ci fermiamo a parlare, senza populismi, senza demagogie di destra o di sinistra, senza consumare le parole e farle diventare tabulla rasa. Perché di una cosa sono certa ed è che questa lingua che mi avete dato in dono è cultura.
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