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un giro d'ombra

Un giro d'ombra


Mauro si alzò dalla pennica verso le quattro. Spostò le tende e guardò giù in piazza per vedere se Enzo fosse già lì. Ancora non c'era nessuno, manco un'ombra. L'afa copriva il cielo con un velo di gesso. Copriva il cielo o i suoi occhi, non avrebbe saputo dirlo: era un anno che doveva consultare l'oculista. Forse aveva le cataratte.

Aspettò che si facessero le sei, quando il sole cominciava a indebolirsi per scendere senza troppa fatica le quattro rampe di scale, i trenta scalini, i due pianerottoli. La piazza, un quadrato col pavimento in pietra e il campanile alto in uno dei suoi angoli, era quasi vuota se non fosse stato lì, a metà dell'ombra del campanile, col bicchiere di vino mezzo vuoto il suo amico Enzo. Sembrava il negativo di una pellicola sulla quale la luce per un attimo si fosse fermata. Adesso riprendeva a scorrere. 


“Eccoti. Dormi troppo Mauro. Te lo dico io. Così non si pigliano i pesci! Fai tu? Vai da Giovanni a prendere tre ombre!”, disse Enzo, e Mauro pensò alla terza, “il solito sporcaccione”. Fece per allontanarsi ma tutto ad un tratto tornò indietro e disse ad Enzo di star attento, “oh! Enzo, sei sotto il sole: così rischi l'insolazione!”.
Enzo guardò le spalle tristi di Mauro allontanarsi verso il bar, il corpo grasso, la camicia a righe sulla schiena appiccicaticcia. “Porco can, Mauro, lavati un po`”, gli disse più tardi anche se sapeva benissimo che a Mauro le gambe facevano male, tutte e due, e soprattutto, la sinistra, che se non se faceva la doccia più di una volta alla settimana era proprio per quel motivo. "Lavati un po'", gli disse, e Mauro rispose, "Abbi pazienza".


Mauro camminò a stento verso il bar. Proprio adesso che lui aveva ancora l'abbiocco e c'era quella dannata calura, toccava a lui andare a prendere tre ombre al posto di due. Non era in vena ma sotto sotto, l'idea di Enzo non gli dispiaceva affatto. La conosceva bene. Era sempre lo stesso scherzetto.


Andò fino al bar trascinando le gambe gonfie di bende che il dottore gli arrotolava dal piede fino al ginocchio, ma i piedi puzzavano comunque. Lui avrebbe avuto bisogno di una donna come Milena, la badante di Enzo, che di un giorno al altro se n'era andata via. Peccato che non avrebbe saputo come pagarla lui che aveva una pensione che appena se riusciva a farsi tre bicchieri al giorno. 
Per guarire doveva smettere di bere, ma come fare a meno di un'ombra? A casa non poteva rimanerci. Sua moglie era abituata a che lui fosse fuori fino a tarda sera. Lui la voleva bene, per carità, ma a casa non poteva rimanerci con quel piede che gli puzzava come un cane sudicio. Peggio ancora. La moglie avrebbe voluto curargli le gambe ma lui non si lasciava fare. "Lascia stare, non fa per te", le diceva. Sapeva che la moglie sarebbe svenuta col solo guardare i vermi. Non era un lavoro per lei né per nessuno, neanche per la Milena d'Enzo, pur essendo infermiera e con la pelle di callo che si era fatta.

Erano passati cinque anni da quando Mauro era andato in pensione e d'allora non faceva altro che mangiare, dormire, e poi, scendeva in piazza e si trovava con Enzo, che subito lo faceva lavorare e gli chiedeva: “vai a prendere tre bicchieri, ho una sete da lupi”. 


Ora entrò al bar. Salutò il proprietario Giovanni che era sempre lì, dietro il bancone della ricevitoria ad aspettare chi sa che premio, che affare, visto che lui al lotto non ci giocava. Un pensiero lo turbò ma nel vedere Valentina, le sue belle cosce dorate e il sorriso generoso, lo dimenticò subito
“Ha visto, signorina?, l'asfalto fuma", le disse a modo di saluto. "Noi siamo sempre lì, all'ombra del campanile. Ci potrebbe portare tre bicchieri di bianco?”, disse, e sottolineo il numero.


Valentina rispose, "arrivo subito" e Mauro rimase a guardarla imbambolito. Non voleva andarsene quindi approfittò per chiedere a Giovanni due biglietti del lotto. Quella notte aveva sognato i numeri vincitori. La gallina, il letto e la piazza. Gli altri numeri rimanevano sempre uguali. Lui non aveva mai vinto, ma chi non gioca non vince, diceva, e giocava due tre volte alla settimana. Con due euro si poteva diventar ricco. Poteva riprendersi il patrimonio che secondo la moglie aveva dissipato in piazza, tra il bar le sigarette e il lotto.

"Mica è vero che non ho vinto niente", diceva invece Mauro, "Qualche volta ho azzeccato quattro numeri". Con quei soldi avrebbe fatto questo e quest'altro, diceva, ma li dava in pegno subito, appena li riscuoteva, e senza accorgersi li usava più di una volta, anche per offrire due giri d'ombra agli amici.
Lui era fatto così, si disse, e uscì in piazza coi biglietti del lotto in mano. Dietro di lui arrivò la cameriera coi bicchieri sul vassoio, ed Enzo, vecchio pigrone, rimasse attaccato all'ombra del campanile: guardava la cameriera avvicinarsi e pensava a Milena, che se ne era andata via un anno fa. Aveva rinunciato al lavoro ed era partita senza dire nulla, stufa di dover badare a lui, veccioun ubriacone rimbambito che non fa altro che andare a sedersi sotto il campanile, a parlare cogli amici del sindaco e dell'assessore e della truffa di questo qua e di quello là. Lei non era sua moglie, disse Milena prima di partire, e lui avrebbe voluto dire, mica è un problema, e lì per lì le avrebbe chiesto di sposarla. Se non fosse stato per la vergogna certo che glielo avrebbe chiesto: Milena era venti anni più giovane di lui ed era bella. "Meglio così", si disse quella volta, e la lasciò andare. 


"Mona", si disse mentre guardava Valentina arrivare coi bicchieri e si spostò sotto l'ombra che ora era qualche centimetro più in là. 
Mauro arrivò coi biglietti in mano ed Enzo gli consigliò di smettere di giocare a quel vecchio gioco. adesso c'era uno nuovo: si chiamava turista per l'eternità, e se vincevi potevi viaggiare ovunque.
"Ma io mica mi poso muovere", disse Mauro. "Non vedi come sono conciato?"
Valentina allungò i bicchieri a tutti e due, e come era solito, chiese con un sorriso per chi fosse l'altro. Lo lasci per terra, disse Enzo, e lei si inginocchiò per metterlo sulle pietre bianche della piazza. Strizzò gli occhi, abbagliata. Enzo approfittò per guardarle le cosce nude. Bella, disse, e Valentina fece un sorriso.


Mauro prese la sua sedia e cercò l'ombra del campanile. Da un angolo, tagliando la piazza in perpendicolare, arrivavano Giacomo e Fulvio, cogli occhiali neri, assonnati. Enzo si mise la mano davanti gli occhi per coprirsi dal sole, guardò l'ombra per terra, guardò loro e spostò la sua sedia qualche centimetro ad ovest, sotto l'ombra che si spostava sempre più veloce. 
Giacomo disse che si era addormentato davanti al televisore. “Vado a prendere da bere”. Entrò nel bar, salutò Giovanni e chiese altre tre ombre di bianco. Uscì senza aspettare Valentina, che dopo qualche minuto arrivò col vassoio e i bicchieri, mentre Fulvio diceva che l'assessore era stato indagato per corruzione, che senza le intercettazioni i politici sarebbero diventati dei criminali stipendiati dallo Stato.


L'ombra del campanile continuava a spostarsi sulla piazza e nessuno batteva ciglio, finché Mauro si sentì senza rifugio e capì che non era più all'ombra. Fece un passo a destra con la sedia ed il bicchiere mezzo vuoto. Con lui si spostarono gli altri tre, senza che Fulvio smettesse di parlare dell'assessore. Aveva ricevuto tangenti dalle imprese di edilizia, roba da matti, da metterlo in galera. Gli altri tre assentirono dietro agli occhiali neri.
Dopo mezza ora Mauro pensò a Valentina. Il prossimo giro tocca a te, disse a Enzo, che si alzò, spostò la sedia sempre più all'ombra e con qualche cedimento barcollò fino al bar. Nel tornare con Valentina davanti, sentì il profumo a tiglio dei suoi capelli e ricordò Milena. La conversazione era cambiata. Ora parlavano del papa e della chiesa. A lui piaceva l'altro papa, disse Giacomo, questo qua è un fanatico tedesco. Mauro si arrabbiò, cercò di difenderlo, ma l'opinione degli altri era unanime: la chiesa perdeva colpi. Chi ci metteva piede ormai?
Dietro al palazzo della regione, il sole calava. Le loro facce diventarono arancione. Le sedie si spostarono ancora con gli altri due giri d'ombra e Valentina diventava sempre più lunare.


Il papa poteva non avere addetti ma Dio era un altro discorso, disse Mauro. "Dio non è il papa". 
"Quello lo sappiamo tutti. Adesso smettila che si è fatto tardi. Tua moglie ti caccerà via di casa per ubriacone. Pure perché puzzi come un cane", disse Enzo. 
"Ma vaffanculo", gli rispose Mauro, e salutò tutti. 


Dalla finestra la moglie lo guardò rincasare. L'ombra copriva tutta la piazza. C'era notte fonda.

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